Bambini capricciosi: ma lo fa apposta?

A cura della psicologa Dott. Antonella Sagone

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“Me lo fa di proposito. Gli ho appena fatto il bagno, e lui, nonostante gli abbia detto di non farlo, corre a giocare con la terra”. “Gli ho spiegato che non si grida al supermercato, eppure mi ha piantato l’ennesimo capriccio”. “Continua a tirare gli oggetti: eppure le ho detto mille volte che non si fa!” Molto spesso, alle prese con bambini di pochi anni, gli adulti si sentono impotenti e quasi beffati dai capricci dei loro figli, che sembrano impermeabili alle esortazioni e alle prediche che sono state loro fatte.

C’è tutta una cultura che sostiene e induce l’adulto a pensare che i comportamenti che il bambino mette in atto diversamente dalle richieste dell’adulto siano comportamenti “contro” l’adulto stesso. Si sostiene ripetutamente che i bambini facciano i capricci allo scopo di ottenere quello che vogliono, come ci fosse stato un vero e proprio calcolo e una cosciente scelta di strategia. Il bambino che piange finché non viene allattato, o preso in braccio, viene definito “furbo”. Un libro molto in voga sostiene che i bambini sono degli attori consumati, e possono impegnarsi nei modi più commoventi pur di piegare gli adulti al proprio volere, persino vomitare o piangere fino a farsi mancare il fiato pur di “averla vinta”. Il linguaggio che descrive il rapporto fra bambini e adulti spesso sembra un bollettino di guerra.

 

Uno dei compiti di un genitore è affiancare il bambino e incanalare i suoi comportamenti più distruttivi in modi che siano socialmente accettabili. Questo compito diviene spesso stressante anche perché il genitore stesso viene a sua volta giudicato per i risultati che ottiene sui propri figli. Allo stesso tempo, spesso la nostra società ha delle aspettative esagerate riguardo a ciò che un bambino di due o tre anni può capire o fare. Amici e parenti raccomandano di “non farsi mettere sotto” e suggeriscono azioni che il genitore dovrebbe mettere in atto per modellare il comportamento del bambino. E i genitori ci provano: raccomandano, chiedono, ordinano al bambino di comportarsi in un certo modo; spiegano perché; lo sgridano o lo puniscono quando agisce in modi che creano disagio nelle persone intorno a lui, oppure che possono essere pericolosi per lui. Ma il bambino continua, nonostante tutto, a mettere in atto i comportamenti “sbagliati”. È a questo punto che i genitori si smarriscono, sentendosi non obbediti, e concludono che il bambino è in guerra contro di loro.

 

La difficoltà nasce dal fatto che l’attenzione della società sembra essere focalizzata sui comportamenti (quelli dei bambini, quelli dei genitori), su quello che fanno, piuttosto che sul perché lo fanno: come se i comportamenti nascessero in modo casuale, o fossero generati da un progetto, cioè nascessero “per uno scopo”. In realtà il bambino, di fatto, non può “fare a meno” di comportarsi come si comporta, e i comportamenti nascono da un’emozione, che a sua volta nasce da un bisogno. Spiegare a parole al bambino che quel comportamento non va bene, non elimina di per sé il bisogno. Il bambino non lo fa apposta, semplicemente conosce quel modo di esprimere i bisogni. Quando l’adulto prova a vedere le cose attraverso i suoi occhi, diviene più semplice per lui intervenire, perché comprende il bisogno profondo che c’è dietro il “capriccio”, e lo accetta. Può così trovare dei modi che rispondano a questo bisogno, anche quando deve limitare il comportamento del bambino. Questo approccio dà sollievo emotivo a genitori e figli e ribalta la situazione: mamma e papà non sono più i nemici del bambino, ma i loro alleati. Insieme, si cerca una soluzione. 

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