Quando il bambino non vuole essere vezzeggiato

A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone

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Capita in genere quando c’è la visita dei parenti o dei conoscenti. Tutti si rivolgono con interesse e manifestazioni affettuose e di apprezzamento verso il bambino, che è in braccio alla mamma; e quello, invece di gradire le espressioni di affetto, piange, si ritrae, affonda il viso nella spalla della mamma o, se è più grande, magari dice anche qualcosa di scortese come “vattene via! sei brutta!” verso quella persona sorridente tutta protesa verso di lui o che cerca di baciarlo e carezzarlo.

Questo naturalmente mortifica la persona che con tanto slancio si era avvicinata al bimbo, oltre a mettere in imbarazzo il genitore del bambino “scortese”. L’adulto si sente rifiutato senza motivo, e scattano a volte dinamiche di confronto per cui il bambino, che è il più piccolo della famiglia, si trova a fare da ago della bilancia in una competizione fra adulti. È curioso il modo in cui spesso non riconosciamo ai bambini piccoli gli stessi diritti che riconosciamo ad un adulto, come se un individuo di pochi mesi o anni funzionasse in modo differente. Quando il bambino chiede la nostra attenzione, l’adulto spesso pone dei limiti ai suoi slanci, pretendendo che comprenda quando i “grandi” sono stanchi, o nervosi, o presi da altre faccende. La ritrosia o il rifiuto del bambino alle effusioni dell’adulto è la stessa cosa: è il suo modo di porre dei limiti personali. Questo non significa che il bambino stia svalutando quella persona, sta solo chiedendo tempo o di rispettare un suo momento in cui non è dell’umore giusto. Tutto questo è caratteristico del bambino piccolo che non ha ancora imparato le “convenzioni” per cui bisogna mostrarsi gentili e ben disposti anche verso coloro che non ci ispirano un’immediata confidenza. I bambini hanno una sensibilità acuta, e alcuni sono prudenti e hanno bisogno di tempo e di familiarizzare con le persone prima di diventare socievoli e meno timorosi. Poi ci sono anche preferenze istintive che possono variare a seconda del loro carattere o anche andare a “simpatie”, proprio come succede agli adulti. Se da un lato noi genitori vorremmo che nostro figlio da subito fosse carino e affabile con i parenti e le persone a noi care, perché ci teniamo a non mortificare queste persone che invece si rivolgono al bimbo con tanto entusiasmo e benevolenza, dall’altro va considerato che la diffidenza del bambino verso gli estranei, da un punto di vista obiettivo, è un istinto sano, che per altri versi noi non vorremmo che venisse del tutto meno. Sta all’adulto, proprio perché è adulto e quindi in grado di comprendere meglio la differenza fra il comportamento di un altro adulto e quello di un piccoletto di pochi mesi o anni, essere paziente e tollerare un apparente “rifiuto” del bambino che, il più delle volte, è solo un: “lasciami il tempo di conoscerti, di capire chi ho davanti e cosa mi devo aspettare da te”. Spesso il bambino ha solo bisogno di poter osservare, con calma e senza il timore di venire “invaso” da gesti troppo confidenti, come i suoi genitori si comportano con lo sconosciuto: se li vede rilassati, se vede che anche la nuova persona è rilassata e non troppo insistente con lui, allora anche il bambino a poco a poco forse si rilasserà e sarà più ben disposto a fare conoscenza. Ma se non è per lui il momento, se non è dell’umore giusto, è importante per l’adulto non forzare il bambino a farsi “spupazzare”, rispettando i confini del suo spazio personale, perché questo costituisce una base importante per la fiducia che il bambino deve coltivare nelle sue sensazioni e nel rispetto della sua individualità fisica ed emotiva.

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