Bambini bulli:che fare?

A cura della psicologa Dott. Antonella Sagone

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Tempo di lettura 4 min

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Adattarsi alla scuola è per un bambino un compito impegnativo, che a volte richiede giorni o settimane di assestamento. Ma una volta superate le crisi dei primi giorni, accade a volte che, dopo un periodo senza problemi, il bambino cominci di nuovo a non voler più andare a scuola. Può piangere, trovare pretesti per cercare di convincere la mamma a non portarlo; può prendersi un raffreddore dopo l’altro; può chiudersi nel mutismo e al ritorno da scuola sembrare quasi in un mondo tutto suo; può sviluppare uno stato ansioso e chiedere alla mamma continue rassicurazioni: «Domani non andiamo a scuola, vero mamma?».

Quando ciò avviene, è opportuno sempre cercare di scoprire che cosa sta succedendo. La prima cosa insomma è dare credito al bambino, che ci sta segnalando che qualcosa non va per il verso giusto. A volte può succedere che il piccolo abbia un problema con uno o più altri bambini della sua classe. Parlando con le maestre può succedere che il problema venga minimizzato e il rifiuto di andare a scuola trattato come un “problema del bambino” che lui stesso deve superare. I genitori vorrebbero che andasse a scuola volentieri: ma la reazione del figlio è legittima e il suo bisogno di protezione e ascolto fondamentale. Il problema non è nel bambino, ma nella classe, e va affrontato e superato tutti insieme, con la collaborazione delle educatrici, dei genitori e delle figure di sostegno all’interno della struttura scolastica.

A volte si dice che le prepotenze esistono al mondo, e che il bambino debba imparare a difendersi: più che giusto. Ma come ci si difende dai bulli? Non imparando a restituire colpo su colpo, a fare la voce più grossa. Se da un lato si depreca la violenza del bullo ma dall’altro si suggerisce di rispondere con la stessa moneta, come farà il bambino a capire cosa è giusto e cosa è sbagliato? Per difendersi dai prepotenti per prima cosa occorre imparare a comunicare in modo da “tirarsi fuori”, diciamo anche con un certo stile e classe, dalla mischia. Non dar loro appiglio, non diventare una “vittima appetibile” mostrando paura. E soprattutto, significa non indebolirsi moralmente quando si subisce una violenza, saper definire con chiarezza dentro di sé cosa succede e per quale motivo. L’effetto distruttivo del bullismo non sta in qualche spintone o pizzicotto, ma nel fatto che il bullo cerca di far sentire la sua vittima come debole, ridicolo, sbagliato, insicuro. Sono ferite che corrodono dentro e lasciano sempre più indifesa e isolata la vittima.

La cosa più importante che può fare un genitore per suo figlio è stare al suo fianco, sempre, contro ogni violenza. Ascoltare la sua paura con attenzione: «Non vuoi più andare a scuola perché hai paura che quel bambino ti picchi ancora». Saprà così che non è lui ad essere sbagliato e a essersi in qualche modo meritato ciò che gli succede. «Quel bambino ti ha dato una botta perché voleva il suo giocattolo: poverino, non è capace a chiederlo in un altro modo». Saprà così che il comportamento del bambino bullo non significa che lui (suo figlio) è cattivo o stupido, ma che è l’altro bambino ad avere un problema. Saprà che i genitori hanno fiducia in lui e prendono molto sul serio le sue preoccupazioni e quello che a scuola gli sta succedendo.

Il bambino non si sentirà allora più solo, e il bambino bullo non lo metterà in più crisi: saprà con più sicurezza trovare un modo per farvi fronte, che sia parlare con calma al prepotente e affrontarlo, o liquidarlo con una battuta e un’alzata di spalle. Troverà lui il modo, con il suo stile, ma prima i genitori devono permettergli di rafforzarsi e di imparare, in un clima sereno, come gestire i conflitti e le difficoltà, sentendosi sostenuto. 

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