Il bambino piange per finta?
A cura della psicologa Dott. Antonella Sagone
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VAI AI PREFERITIDopo la nascita i genitori si trovano alle prese con un neonato che si esprime a volte in modo difficile da decifrare. Che cosa vorrà dire quel pianto? perché fa quella smorfia? come mai si fissa, trattiene il respiro? perché si graffia il viso da solo?
Il bambino non sa spiegare a parole, e quindi si esprime con il linguaggio non verbale dei gesti e delle espressioni. Ci vorrebbe il traduttore automatico del linguaggio dei neonati, pensano i genitori alle prime armi.
Certe volte, il bambino sembra esprimere due sentimenti opposti nello stesso tempo: piange ma il viso è disteso; ride ma lacrima. “Pentolin delle lasagne, che ora ride e che ora piagne”, dicevano i nostri nonni. “E’ stanco”, liquidavano la faccenda i nostri genitori. Ma oggi la mamma e il papà vogliono sapere che significa, e perché fa quella strana smorfia, quel gesto ripetuto.
L’adulto attraverso gesti ed espressioni comunica in una forma raffinata, e manda messaggi complessi. Può comunicare non solo le sue emozioni, ma anche chi è, e quello che pensa di chi ha di fronte. Può anche fingere, simulare un sentimento, o al contrario nasconderlo.
Ma un bambino è capace di altrettanto? A volte si sente dire che il bambino può piangere “sul serio” oppure “per finta”. Si attribuisce insomma al bambino un calcolo, una premeditazione, e un controllo sulle espressioni del suo viso, che di fatto a pochi mesi non può avere. Il bambino, rispetto all’adulto, non può controllare le sue emozioni. L’intero corpo è lo specchio di quello che egli prova, e la gioia, eccitazione, stanchezza, spavento si riflettono dalla punta dei capelli alla pianta dei piedi. Allora come mai a volte le sue espressioni vengono fraintese?
L’equivoco nasce quando si usa il “traduttore” sbagliato. Quello che viene utilizzato per decifrare le espressioni degli adulti. Ma certe espressioni, che in un adulto hanno un certo significato (e scopo), nel bambino di due, sei o nove mesi hanno un senso diverso. Ad esempio, se un adulto guarda fisso il suo interlocutore, con le sopracciglia aggrottate e la bocca socchiusa, le labbra tese, questo significa disappunto o collera, ed è visto come un atteggiamento aggressivo. Un neonato invece può assumere questa espressione quando è concentrato nello sforzo di comprendere e decifrare la cosa che sta osservando, o l’adulto di fronte a lui. Non è arrabbiato, è solo intensamente curioso.
Prendiamo un altro caso: il bambino che piange in modo “lagnoso”, e nello stesso tempo ha un viso stranamente inespressivo, tende a girare la testa, a socchiudere gli occhi e guardare lateralmente, oppure ha gli occhi chiusi. O magari piange e sbadiglia. “sta fingendo”, pensa l’adulto e, in effetti, se avesse davanti un altro adulto, sarebbe proprio così. Ma il bambino sta invece esprimendo un livello elevato di stress. Piangere accompagna spesso uno stato neurocomportamentale che viene chiamato “combatti o fuggi”. Il pianto vivo e aperto è la fase di combattimento, l’attiva ricerca di aiuto. Quando il bebè non trova risposta, o lo stress è eccessivo, il neonato “fugge”. Non potendolo fare con le sue gambe, fugge altrove con il viso, lo sguardo. Riduce l’attività, quindi diminuisce il tono muscolare, tende a ripiegare sul sonno. Non sta mentendo: sta battendo in ritirata.
Come capire quindi il linguaggio dei neonati, e che cosa fare? Partire dal presupposto che il bambino non ha mai uno scopo nascosto, ma semplicemente “parla” con il corpo, con il viso, per dar voce ai suoi sentimenti; e accoglierlo con tutte le sue emozioni, positive o negative che siano. Ciò renderà sempre più facile al bambino esprimersi chiaramente, e ai genitori comprenderlo. Anche senza traduttore automatico!