A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone
Una volta che il bambino è nato, spesso nonni e parenti
aspettano con impazienza il momento in cui il bebè verrà affidato alle loro
cure e “lasciato” per un po’ di tempo con loro. Ma è frequente che il bambino
voglia solo la sua mamma per molti mesi, allarmandosi o piangendo quando viene
lasciato a qualcun altro, anche qualcuno che conosce bene, specialmente se la
mamma si assenta. Ecco che allora spesso la mamma viene accusata di non averlo
“abituato” a separarsi da lei e a “socializzare” con gli altri… ma è proprio
una questione di abitudine?
Il punto è che la disponibilità dei bambini a stare o no con
persone diverse dalla mamma e dal papà non dipende dall’abitudine, ma dalle
fasi della sua maturazione affettiva. Tutti i bambini nascono pronti a legarsi
alla persona che l’accoglierà fra le sue braccia, li nutrirà e si prenderà cura
di loro: generalmente la mamma. La mamma è intensamente legata al bambino in
una unità biologica, non solo quindi perché si trova lì e resta con lui nei
primi mesi. C’è l’odore, il ritmo del cuore, il modo di parlare e di muoversi,
tutte cose che il bambino ha già appreso in utero, e che gli fanno riconoscere
la mamma come una persona “speciale”.
Non bisogna poi pensare che dato che il bebè è fuori della pancia e il cordone
è stato tagliato, sia in grado di mantenere il suo benessere psicofisico senza
una costante presenza dell’adulto. Un puledrino si mette in piedi pochi minuti
dopo la nascita, e una scimmietta è in grado di aggrapparsi sotto il ventre
materno e farsi trasportare, trovando da sé il seno e poppando mentre la mamma
salta da un ramo all’altro. Non così i neonati umani che, in confronto ad altre
specie di mammiferi, nascono molto presto rispetto alla loro maturazione
fisica: questo perché il loro cervello, più grande di quello degli altri
mammiferi, fa sì che la loro testa sarebbe troppo grossa per poter passare il
canale di parto quando il feto è completamente sviluppato. Così a nove mesi il
neonato umano nasce ma è così immaturo da aver bisogno non solo di accudimento
totale, ma anche di un contatto fisico continuo per poter stare bene e al
sicuro. Questo concetto viene chiamato “esogestazione”: è come se la seconda
metà della gravidanza, altri nove mesi, negli umani avvenisse fuori dall’utero,
ma ancora a stretto contatto con la mamma, un po’ come il piccolo canguro che
dopo essere nato passa molti mesi ancora al sicuro dentro il marsupio materno.
Verso l’ottavo-nono mese infatti avviene una fase ben nota agli studiosi della
primissima infanzia, che si chiama fase della “angoscia dell’estraneo” o crisi
dell’ottavo mese. In questa fase i bambini diventano più acutamente consapevoli
della presenza o assenza della mamma e si angosciano molto più facilmente di
prima quando lei si allontana da loro. La reazione di angoscia è ancora più
intensa se, quando il bambino viene lasciato solo, c’è un altro adulto estraneo
nella stanza.
Tutto questo non deve essere considerato come un segno di
rifiuto dell’altra persona, né come la conseguenza di una mancata abitudine
agli altri: anche i bambini “abituati” ad altre braccia passano questa fase in
cui sono particolarmente sensibili alle separazioni.
Come accade spesso riguardo alle tappe di sviluppo dei bambini, non c’è nulla
di speciale che gli adulti debbano fare per aiutare il bambino a maturare. Ogni
fase ha i suoi tempi, e questa “seconda nascita” avverrà comunque da sé via via
che il bambino consoliderà la sua base affettiva, grazie alla presenza
amorevole dei genitori e degli altri adulti che si prendono cura di lui.