A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone
Il tatto è il senso che per primo entra in azione già ai
primissimi stadi della vita prenatale. I “sensori” tattili sono innumerevoli e
distribuiti su tutta la superficie corporea, e nell’embrione sono in grado di
funzionare già a stadi precocissimi dello sviluppo. Un fatto ci può far
riflettere: la pelle, che è l’organo del tatto, deriva dallo stesso gruppo di
cellule che formerà il sistema nervoso: pelle, organi di senso, cervello e
nervi tutti da un unico strato di cellule che si differenziano già nei
primissimi giorni di vita nell’utero.
Attraverso il tatto il feto impara a percepire il confine
fra sé e l’utero della mamma che lo avvolge, e le sue prime esperienze del
mondo si svolgono tramite questo senso. Quando sarà nato (e la nascita è una
fortissima esperienza tattile), il contatto pelle a pelle sarà ciò di cui ha
bisogno per recuperare quel senso dei confini corporei e del contenimento di
cui ha fatto esperienza in nove mesi di vita nel grembo di sua madre. essere
toccato, accarezzato, abbracciato sono necessità essenziali per il bambino, che
permettono al suo sistema nervoso ancora immaturo di mantenere una sua
stabilità e organizzarsi in modo più efficace per rispondere ai tanti stimoli
che gli offre il mondo esterno. Ecco perché il bambino vuole stare sempre in
braccio, e chiama la mamma appena viene lasciato da solo: non è vizio, ma
necessità biologica per svilupparsi nel modo ottimale.
Il mondo ideale del neonato non è insomma fermo e costante,
come può esserlo l’interno della culla: è in movimento, e fornisce al bambino
stimoli diversi anche dal punto di vista tattile… insomma è l’ambiente-mamma,
cioè il mondo contenitivo e di sostegno formato dalle braccia e dal petto di un
adulto in movimento. In braccio al genitore il bambino sperimenta pressione
stabile e sicura intorno a sé, la morbidezza delle braccia che lo sostengono,
la carezza delle mani dell’adulto, il battito del cuore, il suono della voce di
colui o colei che lo porta, trasmesso non solo attraverso l’udito, ma anche
come vibrazione da petto a petto. Il sistema vestibolare (l’organo dell'equilibrio,
che si trova nell’orecchio interno) è sollecitato dai movimenti dell’adulto che
lo porta. Anche l’olfatto è stimolato, e il bambino impara persino a un solo
giorno di vita a riconoscere l’odore materno e poi quello degli altri membri
della famiglia… e se è in braccio alla mamma, può soddisfare anche il suo senso
del gusto, con una poppata di latte.
Questi sensi – tatto, olfatto e gusto – sono detti “i sensi
della vicinanza”, perché si esprimono quando il bambino è vicino, o a contatto,
con l’adulto. E non a caso si sviluppano prima di tutti gli altri, a rivelare
quanto siano importanti per lo sviluppo del sistema nervoso del bambino, ma
anche per la maturazione affettiva, la sua percezione del mondo e la sua
capacità di relazionarsi. L’udito poi, e la vista, hanno il loro momento più
avanti nello sviluppo, anche se il bambino naturalmente è da subito in grado di
udire (e riconoscere la voce della mamma!) e di vedere (e mettere a fuoco,
guarda caso, proprio alla distanza che c’è fra i suoi occhi e il viso materno
quando poppa al seno).
Questa stimolazione che nasce dalla vicinanza è dunque un
vero e proprio nutrimento emotivo e cognitivo per il neonato, tutt’altro che un
vizio o un capriccio o magari un “dispetto” che il bambino fa ai genitori,
pretendendo la loro presenza continua per tiranneggiarli!
Questi bisogni non dureranno per sempre. Alle soglie
dell’età scolare i bambini sono tutti presi dal mondo visivo e uditivo e hanno
bisogno di stimolare i loro sensi dell’equilibrio e del movimento giocando
attivamente. Un prato su cui rotolarsi sarà molto più attraente delle braccia
della mamma a quell’età… il momento delle coccole sono i primi anni, e lungi
dal creare cattive abitudini, non far mancare al proprio bambino le braccia e
le carezze è il modo migliore per garantirgli un sano sviluppo per il suo corpo
e per la sua psiche.