Mettersi comodi: il segreto di un dialogo senza parole
A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone
Tempo di lettura 4 min
Contenuto aggiunto ai preferiti
VAI AI PREFERITIAlla nascita, un dialogo intenso inizia fra mamma e bambino. In una dimensione misteriosa e invisibile dall’esterno, anche senza bisogno di parole, i due si parlano e si rispondono, e la mamma spesso intuisce, e non sa nemmeno lei spiegare come, lo stato del bambino: «Ha sonno», «Ha fame», «Deve fare il ruttino». Questa magica comunicazione a volte inizia pochi istanti dopo la nascita e continua ininterrotta e indisturbata per molti mesi. Altre volte, la partenza è più difficoltosa: separazioni causate da interventi necessari, o da piccole difficoltà banali, sono sufficienti a interrompere la magia.
Spesso avviene in questi casi che la mamma provi un senso di estraneità o di disorientamento di fronte al suo piccolo: cosa vorranno dire quei vagiti? perché sgambetta con tanta forza? il suo respiro è regolare o affannato? come mai, nonostante io abbia fatto tutto ciò che è giusto, sembra insoddisfatto e cerca ancora il mio seno e le mie braccia? Si tratta di aspetti molto concreti, ma che si ripercuotono a livello psicologico perché rendono difficoltosi quei gesti che dovrebbero mettere a proprio agio sia la mamma che il bambino, inducendo un senso di insicurezza e inadeguatezza. La “tecnica”, come ad esempio le istruzioni su come attaccare il bambino al seno o come valutare se ha mangiato a sufficienza, aiuta poco la mamma senza il supporto di una base concreta di esempio da cui partire. Ed ecco che il bambino che è irrequieto al seno o fra le braccia della mamma assume agli occhi materni un significato negativo: “non mi vuole”, “non sono capace di calmarlo”, “non ho abbastanza latte”, “non è mai contento”.
La cosa sorprendente è che spesso questi pensieri negativi hanno origine in banalità, piccoli dettagli che possono essere modificati con poco impegno. Tante volte basta darsi più tempo per imparare ed esplorarsi a vicenda. E il primo segreto è: mettetevi comodi. Può sembrare incredibile quanta differenza faccia sostenere il bambino in una posizione rilassata. Quei comportamenti del neonato che sembrano inutili e scoordinati quando viene sostenuto in grembo, supino, col braccio dietro la sua schiena, dalla mamma seduta con la schiena eretta (insomma la “classica” posizione a “culla”), si trasformano in comportamenti coordinati e chiaramente finalizzati nel momento in cui la stessa mamma si abbandona in una posizione semireclinata, all’indietro, come, per intendersi, quando si guarda la televisione abbandonati sui cuscini del divano, o si sta semidistesi su una sdraio.
Se la mamma poggia il bambino a pancia sotto fra i suoi seni, si può visibilmente notare come il bimbo rilassi le sue braccia e gambe, e inizi a orientarsi sul corpo materno. Il suo capo è poggiato sul petto materno, reclinato da un lato, e le mani si posano rilassate sui seni. Le gambe si puntano e lo spingono su, verso la mamma, verso il capezzolo. La mamma ha le mani e le braccia relativamente libere, perché non deve più sostenere il suo bambino, ma solo mantenerlo nella giusta direzione, guidarlo in modo discreto e con la minima interferenza. Il bambino è molto attivo e non più scoordinato: ruota il capo verso la direzione su cui è poggiata la sua guancia e si trova così, senza fatica, il più delle volte con la bocca spalancata sul seno. A volte fa “il picchio”: solleva ripetutamente la testa, che ricade sul bersaglio dopo qualche tentativo. Altre volte trova prima il suo pugnetto, lo succhia un po’, e poi sposta da solo la mano e si attacca al seno.
Questo approccio offre alla mamma e al bambino l’opportunità di mettere in atto le proprie competenze innate e di “ritrovarsi” con calma. Sembra incredibile: bastava mettersi comodi! E non importa se ciò avviene a un minuto dalla nascita o magari qualche mese dopo: mamma e bambino possono sempre avere occasione di recuperare l’intesa e iniziare quella “danza per due” che permetterà loro di trovare un ritmo e un’armonia unica e irripetibile.