Dal balbettio al discorso

A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone

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Tempo di lettura 3 min

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Ba, ba, ba… da un giorno all'altro, il bambino scopre che può fare suoni con la bocca, cerca di parlare. Ed è subito lanciato in una sperimentazione accanita e selvaggia: non solo la ripetizione infinita di una sillaba, ma anche schiocchi e altri rumori… le prova tutte.

Per primi vengono i suoni labiali, cioè quelli pronunciati in punta di labbra: la B, la P, la M. Poi, procedendo all'indietro nella bocca, vengono pronunciate le palatali, cioè quei suoni che richiedono di poggiare la lingua dietro gli incisivi: come la T, la N. Infine si conquista la padronanza dei suoni gutturali, cioè di gola: la G e la C dure. Ma non è una regola ferrea, e alcuni bambini partono dalle gutturali e procedono in avanti!

Dopo settimane o mesi di esasperanti ripetizioni di un unico suono, il bambino fa un’altra enorme conquista: quella sillaba diviene parola. Le prime parole sono in genere monosillabiche, un semplice “CA” acquista un significato completo. Oppure sono una stessa sillaba ripetuta due volte, ed ecco che nasce la prima parola per eccellenza: MAMMA. Ma anche Pappa, papà, tutù e così via in un infinito snocciolarsi di bisillabe.

Il bambino è un risparmiatore. Se questa parola funziona per dire una cosa, perché non usarla per tutte le altre? Ed ecco che CA diventa non solo “cadere”, ma anche “cane” o, addirittura, la luce elettrica (ma in questo caso è pronunciato sottovoce, perché la luce non ha un suono!). L’inventiva del bambino è senza limiti…

Dopo questa fase, le strategie comunicative dei bambini prendono vie diverse. Alcuni passano da un quasi-mutismo a una parlantina fluente; altri si inventano un linguaggio fatto di una quantità di suoni che “sembrano” parole, ma non hanno senso compiuto: “parla cinese!” dice la zia, ma è solo un espediente, che lascia alla sola intonazione e ai gesti la possibilità di farsi capire.

La maggior parte però arricchisce progressivamente il suo vocabolario di parole sempre più complesse, fino a conquistare da un lato le parole di tre e più sillabe, e dall’altro a combinare insieme le parole in “discorsi”: così “mamma co tutu giù” è “mamma il trenino è di nuovo caduto a terra”. E la mamma diventa abilissima a interpretare il balbettio secondo frasi di senso compiuto.

“Ah, ti è caduto per terra il trenino!”. Questo rifrasare per conto del bambino è una funzione importantissima per l’apprendimento del linguaggio: permette al piccolo di comunicare a suo modo, ma gli insegna a migliorare. Ma non è opportuno invece pretendere che il bambino ripeta la parola pronunciandola correttamente: questo verrà da sé, a suo tempo, ma insistere crea una situazione di ansia che può inibire, piuttosto che favorire, la pronuncia corretta. L’apprendimento del linguaggio non avviene attraverso una noiosa ripetizione parola per parola, ma attraverso il gioco e la comunicazione viva e creativa.

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