Socializzare: come e quando?

A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone

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Tempo di lettura 3 min

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Spesso ai genitori di un bambino ai primi passi viene posto il dilemma di come offrire al piccolo occasione di socializzare. Come tanti altri aspetti legati allo sviluppo psicologico e sociale, anche questa esigenza nasce in realtà da una carenza della nostra società, che non offre facilmente, e in modo naturale, queste occasioni di esperienza sociale ai bambini. Non viviamo più in famiglie allargate che a loro volta facevano parte di comunità più ampie, come il villaggio, in cui i bambini potevano raggrupparsi liberamente fra loro e formare piccole comunità di gioco relativamente indipendenti. In questi gruppi di “pari”, i più piccoli imparavano le regole dello stare in gruppo, e come interagire con gli altri, dall’esempio dei grandi, in modo orizzontale e spontaneo, mentre i più grandicelli cominciavano a sperimentare la responsabilità, prendendosi cura dei piccini e accrescendo la propria autostima.



Oggi le famiglie sono nucleari, e spesso il bambino è anche figlio unico; e così è il genitore che deve cercare attivamente di porre il bambino in situazioni che ricreino, almeno in parte, quell’ambiente sociale naturale che oggi è venuto a mancare. Spesso la soluzione che viene prospettata ai genitori è portare il bambino al nido, in modo che possa imparare in quell’ambito a socializzare con gli altri bambini. Certamente la situazione del nido è spesso piuttosto differente da quella del villaggio, in cui la mamma, anche se non presente fisicamente accanto al bambino, era facilmente reperibile in caso di bisogno, e il gruppo dei bambini presentava un assortimento di età che nell’attuale organizzazione della maggioranza dei nidi e materne è venuta a mancare, dato che le classi sono formate per gruppi molto omogenei di età.

Pertanto, quanto questa soluzione sia adeguata ad agevolare il processo di socializzazione del bambino, dipende da più fattori: l’età e la maturazione affettiva del bambino, e l’organizzazione del nido stesso. Infatti, se il bambino non è pronto a un’esperienza di separazione prolungata, lo stress dell’ansia di separazione potrebbe ostacolare ogni intento sociale: quando si è spaventati o in ansia, infatti, non si è nelle condizioni emotive adatte per apprendere o sperimentare cose nuove.

D’altra parte, alcuni bambini gradiscono passare alcuni momenti della giornata al nido, specie se l’inserimento è stato fatto in modo graduale, il numero dei bambini del gruppo è basso, il clima è sereno, le educatrici sono affettuose ed è possibile avere un’interazione tranquilla con un bambino per volta o con un adulto per volta



Altre valutazioni vanno fatte in base all’età del bambino. A 18 mesi il bambino può non è è essere ancora abbastanza grande da “socializzare”: comincia ad interagire con altri bambini ma in modo discontinuo e senza veramente le competenze relazionali che gli permetteranno, più grande, di giocare insieme, condividere regole sociali, affrontare i conflitti, contrattare e trovare un accordo, proporre, accettare o rifiutare gli approcci degli altri bambini, condividere i giocattoli, eccetera; ma per il momento l’esperienza di relazione con i coetanei è solo preparatoria alla competenza sociale.



In conclusione, l’inserimento al nido è un momento importante nella vita di un bambino e, mentre è necessario che sia valutato dai genitori soppesando attentamente pro e contro, non può essere solamente giustificato da un intento di “socializzazione”.

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