A cura della psicologa Dott.ssa Antonella Sagone
Quando il bambino inizia la fase dell’intensa esplorazione
del suo ambiente, toccando tutto e mettendo a volte a repentaglio la sua
incolumità o rischiando di fare qualche “danno”, ci si affretta a rendere la
casa “a prova di bambino”, oppure si cerca di non far toccare al bambino questo
e quello. C’è infatti chi dice che non bisogna rendere le case totalmente “a
prova di bambino”: questo sarebbe diseducativo perché in questo modo il bimbo crescerebbe
con l’idea che può toccare tutto, e fuori casa sarebbe incontenibile, o
riceverebbe continui “no” a cui non è abituato.
Ma perché questa idea così forte che il esso sia un “animaletto
selvatico” da ammaestrare? Per quale motivo si dovrebbero creare a bella posta
situazioni in cui si deve ”educare” il bambino diocendogli di no?
Forse questo timore che il bambino cresca senza controllo e
“faccia ciò che vuole” nasce da una difficoltà a comprendere i bisogni e le
necessità che sono dietro il comportamento dei bimbi, e a volte da un senso di
impotenza e inadeguatezza a rispondere a questi bisogni e comportamenti in modo
costruttivo ed efficace, salvando anche le esigenze personali e familiari. Da
un lato i genitori si sentono spesso dire, erroneamente, che un comportamento
che non viene attivamente modificato rimarrà tale per sempre; dall’altro,
devono ancora acquisire quella capacità, che hanno i genitori esperti, di incanalare
le attività esplorative del bambino in modi accettabili, cioè che non creino
disagio nell’ambiente familiare o all’esterno.
Ai genitori che si preoccupano di “prevenire tutte le
situazioni potenzialmente pericolose”, si può dire che è comunque impossibile
rendere la casa così baby friendly da non dover mai dire di no. Si cerca soltanto
di rendere la vita meno sgradevole a lui e ai familiari, togliendo di mezzo un
po' di cose proibite o veramente pericolose. Ma i bambini sono molto creativi e
quindi otterranno comunque la loro dose di no anche a casa, ci si può
scommettere!
Forse fra cercare di adattare il mondo al bambino, oppure il
bambino al mondo, c’è un terzo approccio che si può seguire. Nella scuola
Montessoriana, ad esempio, piuttosto che far sparire tutto dalla sua portata, o
sommergerlo di “no, i bicchieri e i piatti con cui i bambini mangiano sono alla
loro portata, e non sono infrangibili.
Se si accetta l’idea che a volte il bambino potrà anche
avere qualche piccolo “incidente” (un piccolo capitombolo, un gioco che si
rompe), dopo aver rimosso il vaso di cristallo, l’oggetto prezioso e tutti
quegli elementi che possono costituire veramente un rischio serio, ci si può
anche rilassare e lasciare che sia l’ambiente stesso della casa, piuttosto che
i nostri “no”, ad ”educare il bambino”. Naturalmente, questo comporta che il bimbo
non va lasciato solo, ma va sorvegliato discretamente, in modo da lasciare che
esplori e apprenda direttamente, sperimentandole, le conseguenze delle sue
azioni.
E fuori casa?
I bambini, anche così piccoli, sono perfettamente in grado di comprendere le
situazioni. Il bimbo imparerà che a casa propria si possono fare certe cose, a
casa della zia no; nel negozio non potrà fare altre cose ancora.
Certo non è un approccio per genitori pigri: significa, in questa prima fase di intensa esplorazione, guardare “a vista” il bambino… ma vale la pena, se si saprà affiancarlo con discrezione e aiutandolo a “leggere” l’ambiente piuttosto che sottrarlo alla sua curiosità.